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PostHeaderIcon LA “COLPA” DI ILARIA CUCCHI: PUBBLICARE UNA FOTO PUBBLICA

Ci sono molte cose che si possono apprendere guardando una foto, se contestualizzata e arricchita di materiale testuale, o addirittura di registrazioni sonore.

Nella società dell’immagine, dove ognuno si mostra in qualsiasi posa e in qualsiasi momento, nel tentativo disperato di darsi così un senso e una collocazione sociale, il concetto di “privacy” ha subito qualche decisa correzione. Se tu stesso non rispetti la tua privacy, mostrandoti come meglio credi, quelle immagini diventano e restano pubbliche per tua volontà (per quanto inconsapevole possa essere del calderone in cui getti te stesso).

Non è difficile dunque comprendere senza riserve la scelta di Ilaria Cucchi di postare un’immagine di Francesco Tedesco uno dei cinque carabinieri indagati nel nuovo processo. Non si tratta di una foto “privata”, ancorché lo ritragga in costume da bagno, perché era quella che il maresciallo aveva scelto come “immagine di copertina” per il suo profilo Facebook. L’aveva preferita a quella più ovvia e tradizionale, in divisa, per ragioni che ognuno può immaginarsi. Fisico palestrato, esibito con orgoglio, clima marittimo-vacanziero, sorriso che vuol essere “acchiappesco” (citazione dall’immenso Gigi Proietti in “Nun me rompe er ca’”).

Quella foto era scomparsa dal profilo del maresciallo solo dopo che il suo nome era apparso sui giornali nella lista degli indagati per la morte di Stefano in seguito a “un violentissimo pestaggio”.

Il senso della pubblicazione è spiegato con molta semplicità da Ilaria: “Il senso è che Stefano era la metà di questa persona”. E non ci vuol molta fantasia per considerare l’impatto dei colpi inferti da fisici allenati su un corpo gracile, indebolito ulteriormente da una tossicodipendenza di lunga durata (in proporzione alla giovane età).

Ci penserà il processo a stabilire da chi siano stati materialmente inferti i colpi. Ma intanto c’è un’immagine che restituisce la sproporzione assoluta di forza tra cinque uomini in salute (non sappiamo se anche gli altri carabinieri quattro siano palestrati come Mandolini, ma se erano in servizio quella notte di certo erano in salute, abili e arruolati).

Una sproporzione fisica ingigantita dalla sproporzione “legale”: cinque “servitori dello Stato” nell’esercizio delle loro funzioni contro un detenuto tratto in arresto. Può accadere qualsiasi cosa. Se resti in vita saranno cinque versioni coincidenti dei fatti, rese da “cittadini al di sopra di ogni sospetto”, contro quella di un detenuto.

Il maresciallo Mandolini ha annunciato una denuncia nei confronti di Ilaria. E anche qui ci penserà un processo, dunque, dove quel mismatch di potenza legale si riproporrà in altre forme, con la famiglia Cucchi esposta ai flash di mezzo mondo e un maresciallo dei carabinieri che avrebbe voluto – solo da indagato, però – restare “invisibile”.

È la storia della famiglia Cucchi in questi sei anni, attaccata e vilipesa, con tanto di foto in ogni dove, e un gruppo di… (come definire uomini in divisa che pestano un prigioniero fino a farlo morire?) ben nascosti nell’anonimato. Un rovesciamento continuo del ruolo di vittima (Stefano e la sua famiglia) e colpevole che la dice lunga, per finire, su come lo Stato tuteli se stesso – i propri esecutori materiali del “monopolio della forza” – anche a prescindere dalle ragioni di merito. Anche quando, per citare un’intercettazione ormai famosa tra altri due dei cinque indagati, si tratta di “servitori dello Stato” con ben poco rispetto delle leggi di questo stesso Stato: «Se ci cacciano, vado a fare le rapine agli orafi, quelli che portano a vedere i gioielli nelle gioiellerie».

Lunedi 4 Gennaio 2015

Fonte:[http://www.osservatoriorepressione.info/]

Sezione: dal Mondo Ultras

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